martedì 28 luglio 2015

La Città Sospesa (Pilade, Pasolini)

Stamani: 
C'era la luce del nuovo giorno che inondava la camera. Sbircio con un occhio e poi lo richiudo subito. Ma già avevo conquistato con fatica il sonno, recuperarlo mi sembrava piuttosto un miraggio in quel momento. Mi giro di fianco e faccio un grosso respiro. La cadenza regolare dei polmoni mi tranquillizza un po' il cuore, ma non del tutto. Batte già con enfasi, anche se mi sono appena svegliata. Ha battuto forte e concitato per tutta la giornata e per tutta la serata di ieri. Adesso ricomincia. Poco alla volta mi sopraffà di immagini che si sovrappongono: la mente è di nuovo sovra-eccitata. Piano, piano, cuore. Calma, mente! Tutto è finito e passato, ma resterà per sempre sotto pelle, queste giornate non tramonteranno mai, ve lo assicuro! Come poter dimenticare la prima volta che sono entrata in Salina per le prove? Un ventre di balena artificiale, del sale che scorreva giù come cascata esotica e che sanciva lo scorrere del tempo. Uno spazio ampio, grezzo, essenziale. Come scordare l'euforia da bambini di molti adulti davanti ad una visione così surreale? Ed i bambini stessi, felicissimi?  Le labbra e le guance ed i capelli diventavano salati, il sale si insinuava in ogni dove, persino tra i rapporti interpersonali, suggellandoli e fortificandoli. Scendere da Volterra verso Saline era diventato una specie di rito: col sole ancora piuttosto forte lasciarsi alle spalle la mamma-città, con le sue contraddizioni e le sue abitudini, per rigenerarsi e purificarsi attraverso la parole salate,poetiche e dure di Pasolini. Ma Volterra, aggrappata al suo colle, la potevi scorgere se uscivi un attimo dalla fabbrica per una pausa, accigliata ed austera, che ti squadrava con fare indagatorio e severo: controllava ogni nostro gesto in quella fabbrica, sapeva che si trattava soltanto di una fuga precaria, di una sospensione, e che poi saremmo ritornati in fila indiana ed ordinati fra le sue schiere e nei suoi ritmi. Ma questo rendeva il tempo passato in Salina ancora più prezioso. Allora mentre me ne stavo a provare c'era anche una parte di me che si dissociava dal resto dell'unità-corpo, in un certo senso uscivo fuori da me e riuscivo a guardarmi e a guardare tutto dall'esterno. Come un giudice che ha la visione intera di un processo e del tribunale, infatti può vedere sia la parte dell'accusa e della difesa, sia la giuria e gli avvocati. Io riuscivo a contemplare l'insieme di ciò che tutti insieme stavamo portando a compimento, vedevo Gianluca ed Enrica, nello stesso momento avevo percezione del sale che scendeva, osservavo i passi lenti e misurati ed contemporaneamente le belle bandiere. La visione d'insieme, materiale e metafisica, della nostra opera mi lasciava senza parole. I legami fra noi e i legami delle scene, dei movimenti o delle parole, si facevano l'uno lo specchio dell'altro. Progredivano insieme, l'uno accanto all'altro, l'uno che innescava l'altro.
Il 25 luglio:
Lo spettacolo-debutto e la replica ci hanno travolto in un turbine: quando tutto è finito ero frastornata, incapace di capire ogni cosa del tutto. la visione d'insieme adesso mi sfuggiva dalle mani. Confusamente accecata dal sale, dalla stoffa rossa del vestito di Atena, il biancore delle montagne di sale e il nero dei nostri vestiti che risaltava. La processione-corteo delle Eumenidi e degli operai della Smith che veniva dietro ad Atena. Bandiere bianche, rami di ulivo, un movimento ellittico intorno alle montagne di sale; un movimento a spirale soffocante intorno a Pilade. Parole che sovrastavano, toni di voce che si alternavano e si rincorrevano. Da perderci il fiato. Davvero in quel momento, in quel luogo, il tempo era sospeso. 
La notte aveva incalzato il tramonto. Volterra adesso era soltanto un agglomerato di luci in lontananza. Anche lei quella sera taceva e non giudicava. La città era davvero sospesa, non ammessa, esclusa eppure presente, volteggiava nell'area, implicitamente si parlava di lei, ma non aveva diritto di replica. Volterra imprigionata ed ispezionata, rigirata, indagata, messa a nudo nel sale.
"Il progetto è nato come colossal" ci ha detto Enrica, e così si è manifestato in quella Salina, nella penombra della società industriale in cui viviamo, in cui spesso siamo sopraffatti da questo progresso cieco, che lui in primis ci ha escluso dalle sue logiche e da solo si nutre e cresce. L'uomo si ritrova estromesso da una cosa a cui lui stesso ha dato inizio. Un processo che ha avuto origini umane ma che adesso ha decapitato la stessa ragione umana, quella pratica (come la chiamerebbe Kant) che dovrebbe vigilare e vagliare tutti gli atti prima di esercitarli. L'uomo ha spodestato se stesso dalla sua egemonia rendendo il progresso spericolato e folle, si è reso conto che non può davvero essere padrone e tiranno di ogni cosa.  O meglio, non è più padrone, ma non se ne vuole rendere conto, ancora. Cieco e caparbio cerca a tutti i costi di stare alle costole del presunto progresso umano, tecnologico, industriale.
Quello che è stato messo in scena è stato un tentativo di rispondere e di opporsi alla direzione che questo flusso sta avendo: noi, attraverso immagini quasi oniriche (oserei dire) che almeno per l'istante dello spettacolo hanno provato a sospendere le logiche di questa vita trafitta dalla falsa credenza di poter soltanto progredire e di poter soltanto migliorare. E le nostre immagini sono nate dalle parole incalzanti, taglienti e allegoriche di Pasolini che decide di raccontarci questa sua analisi della realtà attraverso ciò che è lo strumento più universale nella comunicazione umana, dagli albori della civiltà: un mito. Pasolini quindi che fa? Deve parlare di cose poco evidenti, anzi, proprio sotterranee, che stanno sotto gli sfavillanti oggetti luccicanti che questo tempo offre. Deve parlare dell'altra faccia della medaglia, quella oscura, quella problematica. E decide di farlo riesumando culture umane antiche, in questo caso quella della tragedia greca. La modernità e i suoi disagi messi in scena attraverso miti e opere teatrali di un'umanità antica, considerata adesso da molti "arcaica". Non mette i brividi una trovata del genere?
Quindi, sostenuti dalle grandi spalle dell'intelletto pasoliniano("nani sulle spalle di giganti"), noi ci siamo eretti in quella fabbrica cercando di trasmettere tutti questi aspetti. Con la guida consapevole e calda umanamente di Archivio Zeta, con Enrica e Gianluca. Che ci hanno fatto conoscere e mettere in atto tutto questo universo di parole e significati. Ecco, azioni del genere lasciano dietro di sé impressioni ed effetti a lungo termine, affetti che non possono scadere insieme alla fine dell'esperienza con-vissuta.
Il 27 luglio: 

Mi sono accorta di ciò quando ieri, prima di partire per Carrara, per fare lo spettacolo al LunaticaFestival, ci siamo ritrovati per tentare di fare il viaggio tutti insieme: quando ho rivisto il laboratorio "Logos" riunito mi sono sentita istantaneamente bene. Come se qualcosa di solido e freddo alla bocca dello stomaco si stesse sciogliendo ed irradiasse un calore che si espandeva piano piano verso il cuore, i polmoni, il cervello. Nuovamente, tutto sorrideva intorno a me, di sorrisi complici ed umili, che avevano come unica pretesa quella di condividere ancora una volta questo viaggio così bello. Arriviamo a Carrara. Arriviamo al cimitero dove dovremo riprodurre lo spettacolo: anche questo un luogo sospeso, luogo umano incastonato in una natura verde e rigogliosa. In lontananza si scorgono le Apuane, con le cave bianche in mostra. Il pomeriggio passa veloce mentre proviamo, in un batter d'occhio siamo al momento dello spettacolo. Mentre ci cambiamo mi ritrovo vicino ad Enrica e a Gianluca, anche loro si stanno cambiando, in un silenzio raccolto, come la calma prima della tempesta. Solo vederli lì vicino a me mi rende felice ed orgogliosa di essere in quel cimitero sperduto in Toscana, pronta a dare il mio contributo per questo spettacolo. Poco da fare, anche se è la terza volta che lo facciamo nel giro di pochi giorni, lo stomaco mi si chiude mentre vedo arrivare Gianluca/Pilade con la sua coperta grezza e rustica sulle spalle, insieme a Rocco con la sua fisarmonica. Sospensione. Lo spettacolo piano piano si avvia verso il suo compimento. Le bandiere bianche (le stesse dello spettacolo alla salina, quelle portate in mano dagli operai della Smith) che innalziamo ad un tratto generano meraviglia e stupore nel pubblico. Finisce lo spettacolo, ci teniamo per mano e stiamo molto vicini fra di noi mentre salutiamo il pubblico. Come un unico corpo composto da molte piccole parti.
Sospiro di sollievo. Soddisfazione, ma anche svuotamento. E adesso? Ci catapultiamo a cena, nell'aria c'è una nota dolce di struggimento: dobbiamo scioglierci, le strade tornano a dividersi. E' il corso naturale delle cose, ma non riesco a farmi trovare pronta da questa naturalezza. Vedo che è una cosa condivisa da molti di noi. Come ho detto prima, vivere insieme cose del genere segna, ma anche lega, profondamente. La cena si sviluppa con allegria e leggerezza, i sorrisi sono tanti e genuini. La piccola Antonia è una risata limpida e viva costante. Giunge il momento di riconfluire nella vita quotidiana. Io mi sento così piena dentro che potrei esplodere da un momento all'altro. Ritorniamo alle macchine. Ci guardiamo fra tutti, ci abbracciamo fra tutti e sono abbracci che vanno oltre l'abbraccio, tentano di far capire qualcosa di ineffabile. Saluto la gentilezza e la dolcezza di Enrica, saluto il bel sorriso e la simpatia di Gianluca. Saluto il loro impegno ed il loro lavoro magnifico. Con gli altri "attori-cittadini" ci rivedremo sicuramente fra le mura di Volterra. Lo stomaco mi si stringe forte: saluto Antonia, la riempio di baci, le dico che non so quando ci rivedremo e lei con semplicità e stupore mi replica:"presto! Ci rivediamo presto". Giusto, ha ragione. Sono io un po' stupidamente romantica che mi lascio prendere da questo piccolo vuoto che incalza, senza tutti loro e mi ci trastullo un po' troppo. 

Presto torneremo sullo stesso sentiero battuto insieme. E lo aspetto con impazienza. Nel frattempo però, nel flusso quotidiano della vita, una nuova piccola luce si è accesa dentro di me, illuminando cose che non avevo ancora conosciuto. E questo è uno dei regali più grandi e belli che si possa fare ad un essere umano.

"Presto! Ci rivediamo presto!"

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